di Thomas Cailley – 2023

Disponibile al cinema

Non so se qualcuno di voi abbia mai visto District 9, opera di Neil Blomkamp del 2009 che raccontava di alieni giunti da chissà quale pianeta bloccati sulla Terra, deperiti e stanchi, pian piano segregati in un ghetto alla mercé degli esseri umani. 

Il protagonista, Wikus, è un intollerante raccomandato che, in una missione di sgombero nel distretto, entra a contatto con un liquido che lo trasforma pian piano in un alieno. Di lì in poi scoprirà cosa significhi essere dall’altro lato, emarginato e odiato. 

Ok, non è solo questo il punto del film, di mezzo c’è la fantascienza, il tentativo di salvare gli alieni e di riportarli finalmente a casa, e altre varie cose che potrete scoprire recuperandolo. 

Mentre guardavo “Il regno animale” ho pensato subito ad analogie più o meno forzate con il film appena citato. Stupisce come, nel giro di tredici anni, la segregazione razziale prima fosse un espediente narrativo che tentava di citare il passato, mentre oggi è un pericolo molto attuale. I toni del film francese lo dimostrano, con la solita sensibilità dei nostri cugini, che hanno una tradizione cinematografica molto simile alla nostra. 

In un futuro prossimo, un misterioso fenomeno colpisce l’umanità e inspiegabili mutazioni trasformano gradualmente parte della popolazione in ibridi uomo-animale. Le creature, considerate una minaccia da tutti, vengono inviate in centri specializzati nel tentativo di fermare la progressione delle mutazioni e di controllare le loro apparenti tendenze violente.

Quando un convoglio che porta gli ibridi in una nuova struttura si schianta in una foresta, la paranoia si diffonde nella comunità locale mentre le creature sopravvissute si disperdono nella natura. 

François e il figlio sedicenne Emile perdono nel convoglio anche Lena, moglie e madre. La paura è che possa legarsi troppo agli esseri in trasformazione, così da perdere ogni sforzo fatto nel tentativo di riportarla umana. Ma anche Emile è destinato a trasformarsi, e nonostante all’inizio provi una certa reticenza nei confronti di ciò che lo attende, inizia a comprendere il suo legame prima con gli animali, e infine con la natura stessa. 

Si parlava, appunto, di tradizione cinematografica comune. Nonostante un ottimo comparto grafico e costumistico, che rendono i mutanti molto “reali”, è chiaro che la storia di The Animal Kingdom sia molto più profonda e esistenziale (ma perché no, anche essenziale) rispetto allo stile narrativo americano. 

Si nota subito, quella volontà di essere poetici, molto più metaforici, anche in virtù del contesto in cui il film è ambientato : non dimentichiamo che siamo in Francia, tra i paesi europei che più ha dimostrato di avere un problema con l’integrazione.
Non sarebbe poi così assurdo scovare, in questa accettazione per il “diverso”, anche un messaggio di solidarietà alla battaglia per i diritti di genere.

Tuttavia, al netto di queste premesse ambiziose e confortanti, il film scorre senza essere incisivo sullo spettatore. Ci sono alcune sequenze molto emotive (padre e figlio che corrono nella foresta di notte per cercare la madre, o Emile che aiuta l’aquila a volare), ma durante la visione ci è sembrato di scalfire soltanto la superficie della narrazione. Non siamo riusciti ad immergerci nella storia al punto da restarne ammaliati,
Rimane a metà, resta nel suo senza osare di più. Ed in un film dove si segue la formazione di un ragazzo che deve accettare il trauma di diventare qualcosa di ben diverso, ostracizzato dalla sua società, accettando il suo destino, non empatizzare al massimo con il protagonista è sintomo di un’occasione forse mancata.
Resta comunque un film godibile che ha come pregio la colonna sonora di Andrea Laszlo De Simone, che per questo film si è portato a casa il César fidelizzando ulteriormente il suo pubblico oltre i nostri confini nazionali, e il messaggio di cui si fa portavoce.
In tempi così difficili, imparare a tollerare chi è diverso da noi è necessario. Solo per questo, The Animal Kingdom merita un’occasione.

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