Il cinema di Wes Anderson non è celebre come i grandi film hollywoodiani, ma è pop, e perchè no, avanguardia. Pop perché ha creato uno stile unico nel suo genere, avanguardia perchè si rifa alla regia sistematica e sperimentale di quelle che furono le nuove onde cinematografiche degli anni ‘60.

“Vorrei vivere in un film di Wes Anderson”, diceva Contessa. Perchè quello di Wes è un cinema per outsider, fatto un’estetica riconoscibile fatta di saturazione, inquadrature simmetriche, stile grottesco, narrazioni di esseri umani che di fronte alla cinepresa diventano in qualche modo supereroi del quotidiano, musicati dai Kinks, da Nick Drake e dai Velvet Underground.

Consci che molti (forse tutti) i nostri seguaci già conosceranno l’affermato regista, dedichiamo la monografia di questo mese al regista indie di chi non vuole mai stare tra le righe. 

E che frequenta, ovviamente e rigorosamente, solo facoltà umanistiche. 

-Rushmore – 1998

Max Fisher, forse, siamo tutti noi. Sappiamo tutto di tutto di tutto, ma non sappiamo nulla di nulla. Non siamo tuttologi anche se ci piace fare finta di esserlo. Dobbiamo mettere sempre bocca su tutto perché sennò non siamo mai felici e ci innamoriamo di amori impossibili. 

Probabilmente uno dei miei preferiti di WA, il suo secondo film ne delinea già stile e caratteristiche che col tempo diverranno molto più di un semplice marchio di fabbrica. Wes Anderson fa cinema e lo fa a modo suo, con storie assurde e surreali come quella di Rushmore. 

-I Tenenbaum – 2001

La storia di una anacronistica famiglia newyorkese che tra mille peripezie tenta di riscoprirsi nella sua identità e nella sua unità disperatamente cercata. Un manifesto psicoanalitico ma anche una storia di redenzione, oltre che il primo, vero, film di Wes Anderson Tout Court, con i colori sgargianti e le simmetrie che contraddistinguono le sue opere.  

-Le avventure acquatiche di Steve Zissou – 2004

Steve Zissou è ispirato ovviamente al Jean Michel Cousteau, ma lontano dagli stilemi dello scienziato, quanto più un appassionato di scienze marine che tenta di riportare in auge il suo successo da oceanografo. Un altro personaggio bizzarro, un’altra storia altrettanto grottesca. Steve Zissou vive costantemente la vita di fronte ad una videocamera, eppure è più naturale ed umano di quanto sembri.

Che culto la colonna sonora, specie per i classici del rock reinterpretati in brasiliano da Seu Jorge. 

-Il treno per il Darjeeling – 2007

Prima di guardare questo film bisogna guardare il cortometraggio (disponibile su YouTube) Hotel Chevalier, di una bellezza devastante non solo per Natalie Portman. 

Sul film, però, non voglio dire molto, ma voglio limitarmi a darvi un consiglio: guardatelo ed innamoratevi, come ho fatto io, di una splendida colonna sonora che alterna rock anni ‘60 e pop francese. 

-Fantastic Mr. Fox – 2009

Ispirato a un personaggio creato da Roald Dahl, più che un cartone per bambini è un ulteriore, nuovo e rinnovato saggio esistenziale. Quella di Mr Fox non è una storia soltanto cartoonesca, e forse è anche grazie alla collaborazione di Noah Baumbach (The Squid and The Whale? Frances Ha? Dai, avrete sicuramente presente “Marriage Story”), che regala alla storia un tono più maturo, tipico delle sue sceneggiature. 

-Grand Budapest Hotel – 2014

Probabilmente il film più famoso e più “suo”, almeno in senso registico, di WA. Ben nove candidature agli Oscar del 2015 e ben quattro vittorie (trucco, costumi, scenografia e colonna sonora). Un manifesto, dunque, del cinema di Anderson. Come ho già detto è il film più rappresentativo per una serie di motivi: l’uso delle miniature per la rappresentazione degli hotel, l’assidua ricerca della simmetria, l’uso eccessivo di palette di colori pastello ed un altro irriverente, almeno per il contesto storico, amore impossibile. 

-The French Dispatch – 2021

L’ultima grande fatica del regista, che intende elogiare non solo il giornalismo delle riviste indipendenti (come, ad esempio, il New Yorker), ma raccontare l’Europa attraverso gli articoli del French Dispatch: il piccolo borgo patrimonio di un turismo ricercato, l’arte che è frutto della follia, le grandi rivolte politiche e sociali nate dagli studenti e quindi influenzate dalla cultura Pop, e infine la cucina europea come celebrazione della nostra ricerca spasmodica per il gusto più sopraffino.

Il film però non soltanto dedicato al giornalismo indipendente, allo stile simmetrico e inusuale o alle tonalità precise, ma anche al suo pubblico, quello che è rimasto e che rimarrà ancora. Non sembra esserci da parte di Wes, ormai, la necessità di cercare di riempire qualche poltrona in più. Questo film è la summa perfetta e simmetrica della sua cifra stilistica e di ciò di cui il suo pubblico, nel corso degli anni, si è innamorato.

-Asteroid City – 2023

È raro tranquillizzarsi in qualcosa di lugubre e terrorizzante, quanto in ciò di più sereno possa conciliarci con le nostre paure. Preferiamo toni caldi, la luce del giorno, una storia semplice ma chiara, solida, senza ipocrisie o doppi sensi. 

Fuori da qualche parte ci sono situazioni, persone, questioni che fanno paura. Pensiamo anche solo alla guerra, proprio noi, così sereni, a tal punto da considerare assurda la possibilità che in città come le nostre si rischi di morire per mano di un fucile. Eppure, succede (e di recente, proprio vicino a noi). 

Arriviamo così, con un po’ di improvvisazione, a parlare di Asteroid City. Nella finzione cinematografica, un’opera teatrale, chiamata come la città in cui è ambientata, che racconta una convention tecnologica di giovani geni, in una versione più saturata e allegra degli anni ‘50. E dove per la prima volta gli alieni hanno un contatto diretto, innocuo, con gli umani. E che gli umani non sanno razionalizzare.

Al netto di tutto ciò, è inutile ancora denigrare l’opera più recente di Wes Anderson, uno di quegli autori che ha ormai costruito un immaginario solido, dove “i buoni non sono buoni davvero e i nemici non sono nemici davvero”. Dove i protagonisti sono persone raggiunte dalle paure più genuine, in una sfida che li obbliga ad imparare ad avere coraggio.

Ci si consola in un libro che ci ha segnato, in un film che ci ha commosso, in un disco che ha saputo raccontarci meglio delle nostre stesse riflessioni.

Non è un atto di timore, anzi: trovare coraggio forse è tra le cose più ambiziose che un essere umano possa fare. Anche e soprattutto nel modo in cui lo si fa. 

Ci si consola in tutto ciò che sa dirci chi siamo perché l’ignoto fa un po’ paura. Sarebbe più facile descrivere la paura estremizzandola, oppure renderla il più soffice possibile per impararla ad affrontare.

La meravigliosa storia di Henry Sugar/Il Cigno/Il derattizzatore/Poison – 2023

La parole di Roald Dahl la fanno da padronissime, escono dalla bocca degli attori a macchinetta: Rupert Friend, Ralph Fiennes, Dev Patel, Ben Kingsley, Richard Ayoade e Benedict Cumberbatch quasi fanno fatica a respirare (letteralmente). E anche noi, in un’apnea che ci fa battere il cuore allo stesso ritmo del ragazzino bullizzato de Il cigno, fotografato con un affetto palpabile dalla regia Wes Anderson.

 Non è la prima volta che Anderson maneggia il materiale di Dahl, che è morto nel 1990: è successo anche con il film Fantastic Mr Fox, uscito al cinema nel 2009 e tratto dall’omonimo romanzo del 1970.

Letteratura prestata al cinema? Cinema prestato alla letteratura? I corti di Wes sono un po’ tutte e due le cose. Onorano, sì, l’esperienza della lettura, ma onorano anche la libertà della macchina da presa di spaziare verso tutto quello che può inquadrare. Eppure queste chicche restano un affare estremamente intimo e personale, tra Anderson e noi, che diventiamo pubblico silenzioso, testimone di queste storie. Con la benedizione di Dahl e dell’immaginario cinematografico.

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