E’ venerdì sera e fa caldo, meno degli scorsi giorni, ma fa comunque caldo. Fa quel caldo che ti appiccica i vestiti al corpo, che ti fa sembrare sempre unto anche se non hai la pelle grassa. Fa quel caldo che puoi combattere e sopportare solamente con le chitarre distorte. Questa è una mia teoria, è nuova, è ancora in fase di elaborazione ma il succo è che il rock può aiutare a far passare l’estate. Ma non era ciò di cui vogliamo parlare. Fa caldo, dicevamo. E siamo al CPG, casa nostra ormai. Sul palco si alterneranno cinque band per le finali regionali di Arezzo Wave. Noi, però, siamo lì in particolare per una: le irossa. 

https://www.instagram.com/_.irossa._/

Chi segue la pagina Instagram dovrebbe già conoscerli, abbiamo provato a spingere un paio di volte i loro singoli (Capillari pezzo bellissimo) e ci piacciono un casino. Anzi, siamo sinceri. Chi li ha ascoltati per davvero prima di questo venerdì e di questo mini concerto è solo una delle due persone che scrive su queste pagine. Io, che sto scrivendo quest’intro sono completamente vergine, voglio farmi conquistare. 

Quando salgono sul palco sono in cinque, son tanti effettivamente. Due chitarre, un basso, la batteria, un’altra chitarra, ma classica ed il synth. Sono belli tutti insieme, sono armoniosi, si muovono come fossero un corpo solo, si cercano con gli sguardi mentre suonano per dirsi che va tutto bene, ma questo già lo sanno, il testo intertestuale letto da fuori, però, è che quegli sguardi significano che si stanno divertendo. Loro sono sul palco per la musica, non hanno un secondo fine, non pensano a quanto potrà essere roseo il loro futuro (e dio mio quanto lo sarà), loro sono quel palco solamente per la musica e questa è forse la cosa più bella ed importante di tutte. 

Dopo un set di sei o sette pezzi, scusate non li ho contati ero preso dal viverli, li troviamo fuori dal locale. Ci eravamo promessi una chiacchierata e quindi, tra sigarette e gin tonic, ci sediamo ad uno dei tavolini del CPG ed iniziamo a cazzeggiare. 

Come state, chiediamo subito. Sudati, rispondono prontamente. Facciamo loro i complimenti per il live, è stato davvero bello. Ci spiegano, innanzitutto, che quella non sarebbe la formazione originale perché il bassista del gruppo è in Belgio e quindi troviamo il sostituto. La verità, però, è che conoscendosi da sempre e avendo mille progetti paralleli tutti insieme non esiste il concetto di “sostituto”, le canzoni sono quelle, le hanno suonate centinaia di volte da un anno a questa parte e quindi tutti conoscono tutto. 

Quella che doveva essere un’intervista si trasforma in una chiacchierata da bar, con gente che sembra conoscersi da molto più tempo. Tra noi e loro c’è subito una sinergia, anche e soprattutto legata al fatto che ascoltiamo la stessa musica. Un suono che percorre due ragazzi di 25 anni ed arriva a ragazzi appena ventenni. Si, ci sentiamo così vecchi. 

Subito ci viene in mente un paragone, non solo legato alla differenza d’età: anni fa i due ragazzi che questo blog lo hanno fondato avevano una band, e chiaramente il livello tra noi e loro è abissale. Lo si capisce anche e soprattutto dalle ispirazioni musicali: noi avevamo i TheGiornalisti, loro hanno i Fontaines. La musica è cambiata, e siamo cambiati anche noi. 

Oltre questo, però, ci stupisce la loro preparazione musicale. Tutti figli delle accademie, già pronti a produrre da soli i propri sogni e i propri suoni, costituendo un obiettivo concreto ma al contempo leggero, com’è giusto alla loro età. Non sanno dove vogliono andare, vorrebbero solo passare i giorni a suonare, salire su un palco, cazzeggiare ma spaccare. La loro musica, forse, è bella anche e soprattutto per questo. Non ha un genere, non la puoi inquadrare. Puoi fare dei paragoni, ma se pensi a un genere, la congettura si fa sfocata. Ed è bellissimo. 

Raccontano qualche aneddoto delle registrazioni, tra cantine e camerette, e io dico loro che i Vampire Weekend hanno registrato il loro esordio in una soffitta. E che esordio. 

Il loro, invece, non è ancora pronto. Due, tre pezzi da sistemare, ci dicono. Ma sta prendendo forma, e noi speriamo di poterlo ascoltare in anteprima, anzi non vediamo l’ora di poterlo fare. 

Con irossa, alla fine, però, concordiamo su due cose. La prima è che il Bloody Mary è un cocktail davvero sottovalutato (qui ad essere sinceri sono il solo a concordare con quasi metà della band, anch’essi di quest’idea); la seconda è più complessa e meriterebbe più spazio ed una visibilità ben più importante che quella di Due Libri: a Torino, che usiamo come sineddoche per l’Italia, la musica degli emergenti non piace. Come ci hanno raccontato, sono stati a suonare in Germania, a Mainz, in un centro sociale anarchico sostenuto dal comune perché creatore di eventi culturali (dove chiaramente la risposta del pubblico è stata completamente diversa, rispetto alla classica diffidenza nostrana, ancora figlia del retaggio degli anni ‘60). Poi ci hanno raccontato di una loro amica in Inghilterra che organizza piccoli concerti per emergenti in piccoli locali e non importa se alla serata ci siano due o dieci o cento persone, l’artista, in ogni caso, si mette in tasca cento sterline con cui può finanziare il suo progetto. A Torino le preoccupazioni delle giunte comunali che continuano a susseguirsi pensa più a chiuderli, i locali, invece che finanziarli. Pensano al fatto che i giovani non abbiano diritto di divertirsi perché durante la notte, con le loro birre o i loro gin tonic, potrebbero svegliare i signori che dormono. Poveri. A Torino la vita culturale, almeno quella più mainstream, stanno cercando di annientarla anno dopo anno, questa città, però, è sempre stata una città di controcultura, di antagonisti, e sempre esisteranno degli spazi, sempre e comunque autogestiti ed autofinanziati, in cui ci sarà posto per noi. Ma fino a quando? Fino a quando in questa città, in questo Paese, ci sarà posto per chi ha voglia di suonare e basta? Fino a quando dei ragazzi appena usciti dal liceo saranno in grado di potersi permettere di autoprodursi un disco o arrivare sui grandi palchi senza passare da quella merda di X Factor e compagnia? 

Per quanto, ancora, dovrete romperci i coglioni ?

Una replica a “Sento il silenzio che diventa intenso – una chiacchierata con iRossa”

  1. […] musicali dall’Italia alla più florida Inghilterra e vogliamo dare loro torto? Certo che no. Ricordo bene la prima volta che mi sedetti ad un tavolo a parlare con loro, ricordo la maglietta degli Shame di Jacopo e il loro parlare di gruppi come Fontaines D.C. e, […]

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