di ICANIBAUSTELLE

2023 – 42 Records

Chi ci legge, ma soprattutto ci conosce personalmente, sa che prima di tutto questa cosa della webzine è la platea delle esperienze di due amici che sono uniti da una intensa amicizia che dura ormai da 10 anni. Il tutto poi è contornato dalle stesse sensazioni, dalla stessa sensibilità, ma soprattutto dalle stesse passioni: libri, cinema, musica. 

Ecco, la musica. Forse la prima cosa, ad averci unito davvero. Il primo concerto visto insieme è stato Ghemon, all’Hiroshima Mon Amour, credo nel 2015. Il disco era OrchiDee, un disco bellissimo. Forse il più ispirato e virtuoso di Ghemon? Non saprei, probabilmente è quello a cui sono più legato, complice una canzone come Da Lei (con lo scudo e la spada), che, se dovessi descriverla a chi non la conosce, la definirei come, parafrasando il linguaggio del cinema, un remake di Anna e Marco di Lucio Dalla ambientato negli anni ‘10.  

Ai tempi non è che fossimo tanto uniti. A dire il vero ci stavamo anche vagamente sul cazzo. Qualcosa però cambiò quella sera, a seguito di un complice sguardo d’intesa nel renderci conto di essere decisamente i più giovani della venue. Credo cominciammo lì, a fantasticare sul fatto di avere tutte le carte in tavola nel poter conquistare anche le trentenni. 

Ad onor del vero, c’è qualcosa in noi che richiama ad un tempo che non esiste più. È un fatto che ho sempre assodato. In generale ho avuto molta fortuna con gli amici, complici costanti quando bisogna scegliere una canzone adatta a chiudere una serata di bevute. Spesso il punto migliore lo si mette quando qualcuno fa risuonare Gli Impermeabili di Paolo Conte. 

C’è un po’ di cinismo nel scegliere una canzone così per il bicchiere della staffa, specialmente per dei romantici come noi. 

Pioggia sulle insegne delle notti andate

Devo pensarci su pensarci su

Ma dipenderà dipenderà

Quale storia tu vuoi che io racconti?

Ah! Non so dir di no, no, no no, no

Sfido voi a mantenere il morale alto, ascoltando una canzone così. Specialmente se sei un po’ alticcio e miserabilmente romantico. 

Quindi: nostalgia, attrazione per il passato, passione ed ostaggi di un tempo mai vissuto. Arriviamo al 2023, ad una strana sorpresa, che in qualche modo ci fa viaggiare nel tempo, lontano dallo streaming, lontano dalla musica facile, immediatamente fruibile. 

E’ un mercoledì mattina tranquillo, c’è il sole e sono appena uscito dalla palestra. Squilla il telefono, è il mio socio. “Guarda Instagram”, mi dice. Apro la chat con lui e mi trovo un post di Backdoor, il negozio di dischi su Torino che preferisco, in cui dicono di aver ricevuto dieci copie di un vinile totalmente nero su cui c’è scritto solamente ICANIBAUSTELLE. Sono le undici e qualcosa, prendiamo la macchina e partiamo direzione Backdoor. Non conto i rossi presi, le multe rischiate (lo sapremo tra qualche settimana) e le bestemmie indirizzate verso chi ci impiega troppo a partire o guida troppo lento. Corso Unione, corso Agnelli, corso Mediterraneo, corso Regina Margherita, via Pinelli. Ci siamo. Parcheggiamo e corriamo verso il negozio, letteralmente. E’ rimasta solo una copia, va bene uguale, la prendiamo. “Beh, ovvio”, ci dice ridendo il commesso. 

Due sole tracce, un lato A ed un lato B. Il giradischi è sul pavimento, noi intorno come uomini primitivi davanti alla magia del fuoco appena scoperto. Lo guardiamo girare nel suo look total black, coi suoi suoni pop rock, con la profonda voce poetica di Bianconi che canta ed emoziona, con la voce di Contessa che, beh, è Contessa. 

Due pezzi esistenzialisti in cui uno risponde all’altro. Due pezzi che stonano con la musica contemporanea per la ricercatezza di testi e musica. Due pezzi che sono amore per la vita. 

Al netto della bellezza in sé dei due pezzi, personalmente, la meraviglia di questo disco è stata, sì, la sorpresa, ma anche l’attesa. Non l’attesa di un nuovo lavoro di Contessa o dei Baustelle. Ma l’attesa tragica, a modo suo, di arrivare da Mirafiori Sud al negozio di dischi (almeno mezz’ora di macchina per chi non è di Torino) con la vana speranza di trovare almeno una copia ancora disponibile. E poi l’attesa, una volta avuto il disco tra le mani, di poterlo ascoltare. Quel viaggio di ritorno passato a fantasticare di quante canzoni sarebbero potute esserci e di cosa avrebbero potuto parlare. Rock o pop? E poi arrivare a casa, prendere quel benedetto giradischi, aprire il disco e metterlo sul piatto. 

Un’attesa a cui, soprattutto noi giovani, non siamo mai stati abituati avendo tutto a portata di streaming. Un’attesa che, ineluttabilmente, ci ha portato indietro nel tempo. Come un pezzo de I Cani, o dei Baustelle. Un’attesa che, sì, ci ha reso uomini migliori, almeno nell’anima. 

Sentire così di essere uniti in un momento così straniante, per due che sono nati prima del 2000, ma non abbastanza per conoscere davvero gli anni ‘90. Quelli dei compact disc, dei singoli in CD, dei b-sides, delle sorprese natalizie dei fan club. 

La sorpresa dei Cani e dei Baustelle, però, ci lancia ancor di più di quanto pensassimo in una parentesi del passato. Quella trepidante attesa nel guardare un oggetto e non poterlo sentire fino a casa. Quel modo di osservarlo, così misterioso, senza alcuna scritta. Soltanto una dicitura, un numero di serie scritto con un pennarello, 458/1000, soltanto questo. 

Al netto di qualsiasi mossa di marketing, l’idea romantica della musica sta tutta in questo frammento di attesa. Accresce il suo valore fino a renderla di nuovo tangibile, un elemento che ormai, da qualche tempo, la musica non ha più, tanto è diventata dica accessibile. 

Nessuno vuole condannare lo streaming, che forse ha permesso a tutti, davvero a tutti, di scoprire (e scoprirsi) artisti dimenticati, o di approfondire quelli che un tempo erano qualcosa di diverso, meno schiavi di mode e retaggi. 

Al massimo, si può condannare il metodo con cui ormai artisti e case discografiche hanno cominciato ad assopirsi permettendo alla propria cerchia di ottenere quel che vuole nel minor tempo possibile. Non conta più la qualità, ma soltanto la quantità. 

Un centinaio di vinili sparsi per negozi di dischi RIGOROSAMENTE INDIPENDENTI non fa di questo prodotto un qualcosa di elitario (per l’appunto, nel pomeriggio i due singoli sono usciti su Bandcamp insieme ad altre copie fisiche sempre in formato vinile). È quasi ridicolo leggere opinioni sparse sui social in cui si parla di speculazione, di distribuzione tra soli giornalisti ed addetti ai lavori. 

Niente di tutto questo. Anzi, probabilmente il vero valore in questo gesto sta proprio nella sua connaturata democrazia.

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