di Frank Marshall & Thom Zimny – 2024

Disponibile su Disney Plus

I Beach Boys, in un mondo giusto, non avrebbero bisogno di presentazioni. Il mondo, però, li ha spesso dimenticati. È successo in tempi moderni, ma nemmeno troppo tempo dopo la loro nascita. 

C’è una parte del documentario che ne parla, verso i minuti finali dell’epopea della famiglia Wilson. Una famiglia che ci appare fin da subito privilegiata, californiana, soprattutto americana. 

Una famiglia che ha avuto, al centro di ogni decisione, la musica. Musica da surfisti, ma anche quella del rock n’ roll di Chuck Berry, degli Everly Brothers, di Roy Robinson, È bastato unire i due generi per diventare il simbolo di una generazione, di una way of life che, salvo descriverla attraverso quelle buffe locandine vintage che tanto piacciono alle aziende di fast fashion, sarebbe impossibile da rappresentare.

Ma poi arrivarono i Beach Boys, che la raccontarono con la genuinità dell’adolescenza e una serie di vocalizzi molto acuti. Camicie a righe, cadillac e surf. È un immaginario che loro hanno contribuito a costruire, e che in qualche modo li ha sempre perseguitati, e condannati alla  decadenza.
Ma dietro la loro storia c’è davvero molto più di questo, e il documentario da poco disponibile su Disney Plus prova a raccontarlo.

Ma ci riesce? Forse scalfisce soltanto la superficie. I Beach Boys sono stati ostaggio di un padre pretenzioso e violento, dei problemi mentali di Brian Wilson, persino della famiglia Manson. Ma sono anche il genio di quel ragazzo dal viso genuino e sbarbato, che di fronte ad un pianoforte sentiva la musica in una maniera completamente diversa, simile alla vocazione apostolica. 

Sicuramente il valore aggiunto di questo documentario è di non aver tralasciato niente, della storia dei Beach Boys. Il problema è che ne traiamo un racconto superficiale, capace di appassionare solo chi la storia la conosce prima della visione. In due ore, ogni istante della famiglia allargata dei Wilson viene sfogliata velocemente senza soffermarsi mai con dedizione su ciò che ha reso grandi i Beach Boys. 

Brian Wilson, il genio dietro la musica della band, ha un ruolo forse troppo marginale. Gli aneddoti riguardanti la composizione di capolavori come Pet Sounds sono pochi. Si è parlato poco, pochissimo del capolavoro mai pubblicato dal nome Smile, che oggi è un grande album di Brian Wilson. 

Insomma, è un documentario godibile, ma didascalico, e viziato dai contributi sommari di persone che nulla hanno a che fare con la storia della band. 

In generale, vien da chiedersi quale fosse l’intenzione degli autori del documentario: sottolineare l’influenza dei Beach Boys sulla musica pop? Se non altro, c’è una brevissima nota audio di Paul McCartney che ammette che senza Pet Sounds non ci sarebbe mai stato Sgt. Pepper. 

In generale, un lavoro tanto edulcorato, significativamente condizionato dalla piattaforma che lo ha prodotto. La speranza, però, è che sia un punto di partenza per una generazione che ancora non ha potuto conoscere la famiglia Wilson e la sua poesia. 

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