di Gaia Morelli

2024 – Dischi Sotterranei

Nel 1979 Francis Ford Coppola iniziava uno dei migliori film della storia del cinema, Apocalypse Now con un pezzo dei Doors intitolato The End. Questa cosa me la fece notare il professore di un corso universitario sul cinema e la sua storia. Il paradosso di una canzone che parla di una “fine” usata per iniziare un film. La contrapposizione di due concetti che, per forza di cose, stanno agli antipodi. Il caos, insomma. 

Gaia Morelli, con molta probabilità senza pensare a Coppola e ai suoi film, fa la stessa cosa: la prima canzone del suo disco solista si intitola Fine. La fine di cosa? La canzone inizia con un suono sintetico a cui si avvicina a far compagnia una chitarra. Un giro semplice, uno schema facile. Poi arriva la voce. Timida, riservata, che parla perché ha la necessità di farlo, non per velleità. E ci parla del tempo che passa, della natura delle cose e di tutta quella voglia che si ha di sparire quando le cose non vanno proprio benissimo. Non sento più niente, dice Gaia, come se avesse perso tutto e fosse rimasta nella sua apatia a fissare il vuoto mentre siede sul divano. 

Due minuti e cinque secondi. Tanto dura la sua Fine. Decisamente meno di quella dei Doors, ma legata a lei da un filo tanto invisibile quanto lampante: le emozioni.

“This is the end/My only friend, the end/Of our elaborate plans, the end/Of everything that stands, the end” cantava Jim Morrison. “Fino a sparire un po’/Senza sporcare tanto per terra”, canta Gaia. Parallelismi forzati, può darsi, ma se il primo, il Sommo, cantava di una fine che può essere ricondotta all’unica scappatoia possibile per sentirsi finalmente bene, Gaia ci parla di una fine a cui si arriva col tempo, fine delle emozioni, fine di quello che si ha dentro. Fine. Punto.

Gaia ha una scrittura immediata. Le sue canzoni sono brevi, fulminee, un istante che fugge via e non si ferma. Come quando passi a rassegna vecchie foto ricordando momenti di un passato che sembra sempre più lontano. 

La natura delle cose, in questo modo, sembra essere il tempo, il suo essere immobile e al contempo sfuggente. Ma anche lo spazio, chiuso, che spesso ci imprigiona. 

Gaia lo sottolinea spesso: la provincia che le è sempre stata stretta in Acqua, o l’incrocio degli sguardi con la gente dal suo salotto in Rumore

Quindi tempo, ma anche isolamento. Un connubio capace di rinchiuderci nella nostra intimità e che ci pone a esorcizzare questa tristezza. 

Come fare? Ognuno ha la sua risposta. Gaia ci ha scritto un disco, dove in ogni canzone sembra cercare una soluzione. A volte in un caos calmo come quello sviluppato a metà della canzone Siamo Stonati, dove una serie di suoni il cui ritmo, senza la chitarra di sottofondo, sembrerebbe impossibile da definire. 

Ma è anche il caso di sfuriate come quella che avviene nella canzone successiva, Tutto il bene, dove la distorsione della chitarra ci porta in uno sfogo sincero di Gaia, ed anche al punto forte della sua scrittura. 

Ci sono canzoni nel disco capaci di averne al loro interno due, tre diverse. come in questo caso. Una strofa acustica, una riflessione sull’amore e sulla solitudine, che rassicura ma che immediatamente rende tristi. Qualcosa poi cambia, a metà testo. La frustrazione di dover ricominciare ogni volta, ogni giorno. Ma è anche una presa di coscienza delle proprie capacità, del coraggio di restare finalmente in equilibrio. Domani è un altro giorno e nulla è mai davvero così terribile.

C’è tempo per ricominciare, per rialzarsi e stare bene. Anche questo è nella natura delle cose.

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